Patrizia Cavalli: profondità e nonchalance - RSI Radiotelevisione svizzera (2024)

Di:

Paolo Rodari

“Complimenti Patrizia, sei una poeta”, le disse Elsa Morante quando, un anno dopo la nascita della loro amicizia, le chiese cosa facesse nella vita. “Io studiavo filosofia, ma ovviamente lei voleva sapere altro. Ed io per istinto dissi che scrivevo poesie, e lei mi guardò crudelmente”, raccontò tempo dopo Patrizia Cavalli (17 aprile 1947 – 21 giugno 2022). Ed è in quel poeta con cui la “battezzò” Morante che c’è tutto il senso della vita di una delle più grandi protagoniste della poesia italiana del secondo Novecento: scrittrice e traduttrice raffinata, mancata un anno fa a Roma, la città nella quale si trasferì da Todi quando aveva vent’anni.

Una poeta

Qualcuno mi ha detto / che certo le mie poesie / non cambieranno il mondo. / Io rispondo che certo sì / le mie poesie / non cambieranno il mondo. / Qualcuno mi ha detto / che certo le mie poesie / non cambieranno il mondo. / Io rispondo che certo sì / le mie poesie / non cambieranno il mondo.

Le sue parole furono semplici, comprensibili, seppure nascessero da una tecnica complessa, una poetica discendente da misure metriche classiche. È forse per questa precisione e insieme semplicità che la lettura delle sue poesie all’Auditorium di Roma vedeva sempre una grande partecipazione di pubblico. In tantissimi l’hanno ascoltata rapiti e divertiti. Seppure i versi parlassero di vita ed insieme di morte, esplicitando una drammaticità non sempre percepibile.

La morte vorrei affrontarla ad armi pari / anche se so che infine dovrò perdere, / voglio uno scontro essendo tutta intera, / che non mi prenda di nascosto e lentamente.

Cavalli seppe dare sostanza poetica a parole comuni, quotidiane. Così disse lei stessa nel 2016, in una intervista a Repubblica: “Non ci sono parole belle o brutte. Tutte sono stupende. Purché siano reali e pertinenti. Spesso le parole sono usate in modo orribile, e alcune vengono logorate dall'uso. Perciò bisogna aspettare che ritrovino un’innocenza”.

Profondità e nonchalance

Fu dunque Morante a scoprirla. E a lanciarla. Fu Morante a mandare le prime poesie di Cavalli ad Einaudi, la casa editrice a cui rimase fedele tutta la vita. Morante vide in lei un grande talento poetico, la capacità di dire con semplicità l’indicibile della vita. Einaudi accettò sempre i tempi dilatati di Cavalli. Fra una raccolta di poesie ed un’altra passavano anni, dal suo primo libro “Le mie poesie non cambieranno il mondo”, fino all’ultimo “Vita meravigliosa”. Come ha scritto Mauro Bersani, nei versi di Cavalli vi era “mescolanza di profondità e nonchalance”. Anche nelle sue performance che riempivano i teatri, “leggeva i suoi versi come buttandoli via, il contrario di qualsiasi enfasi retorica. E però non li buttava via per niente: la metrica, la musicalità, le rime improvvise, le chiusure aforistiche spiazzanti, tutto era calibrato sotto l’apparente noncuranza”.

Fu questo suo duplice passo, le cose più indicibili esplicitate assieme alla vita di tutti i giorni, ad attrarre lettori di ogni estrazione, dai grandi intellettuali alla gente comune. Cavalli era amata da tanti, in molti si ritrovavano nei suoi versi senza saperne spiegare il motivo. “E questa è la capacità polisemica dei grandi”, ha scritto ancora Bersani. “Quella di Patrizia Cavalli è stata, e continuerà a essere attraverso i suoi libri, una delle voci poetiche più importanti degli ultimi cinquant’anni, in Italia e a livello internazionale”.

Disperazione e speranza

Fin dall’inizio fu paragonata ai più grandi. Poco dopo l’uscita di “Le mie poesie non cambieranno il mondo”, i suoi versi furono definiti “esistenziali”, in scia a Sandro Penna e Pier Paolo Pasolini. Parlava una lingua comprensibile e insieme vertiginosa. Sapeva entrare con naturalezza nelle profondità dell’umano, rimanendo in equilibrio fra disperazione e speranza, buio e luce. Come è la vita di ognuno, mistero e insieme limpidezza, oscurità ma anche chiarore. E così in ogni suo scritto: dalle raccolte “Il cielo” (1981), “L’io singolare proprio mio” (1992fino a “Sempre aperto teatro” (1999), “Pigre divinità e pigra sorte” (2006), “Datura” (2013). Ma così anche nel suo unico lavoro in prosa, quel “Con passi giapponesi” (2019) con cui vinse il Premio Campiello nella selezione Giuria dei Letterati.

Come nasce una poesia

Della sua vita privata si sa poco. Non si sposò mai. Non ebbe figli. Visse in centro a Roma, mantenendosi facendo la mercante d’arte, scrivendo progetti per una fondazione americana, ed anche, come raccontò in un lungo colloquio col Foglio avvenuto nel 2020, giocando a poker. Si prese sempre il tempo necessario per scrivere, ovvero il tempo per oziare e non mettere in pagina nulla. “Una poesia è riuscita quando si muove” disse a Repubblica sempre nel 2016. “Che siano tre versi o trecento, bisogna che accada qualcosa. Dev’esserci una sorpresa del pensiero”. E ancora, le poesie “di pochi versi arrivano da sole, bussano alla porta e io apro. Cammino, mi parlo nella mente, scrivo un paio di versi e correggo. Nelle poesie lunghe, come ‘La patria’, c’è un intero sistema di pensiero. Nelle brevi la concentrazione è immediata”.

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Patrizia Cavalli, "Appena sveglia comincio a riposarmi"

Colpo di poesia 20.11.2020, 21:00

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