«Mia nonna Agida, trucidata dai fascisti 80 anni fa. E il foglio segreto con i nomi dei suoi 12 assassini» (2024)

diFederica Seneghini

Il sacrificio di Agida Cavalli, uccisa nel 1944 mentre tentava di proteggere uno dei figli, raccontato dal nipote Agide, che porta il suo nome. Una storia di Resistenza ricordata anche da Dario Fo e da Renata Viganò

DALLA NOSTRA INVIATA
FILO (RAVENNA, FERRARA) - È in una scatola di latta che Agide Vandini conserva il ricordo più prezioso e più angosciante della sua famiglia. Un foglietto bianco, piegato in quattro con cura.

Contiene i nomi e i cognomi dei 12 uomini che ottant'anni fa andarono a casa del padre con l'intento di ammazzarlo e invece trucidarono la nonna, Agida Cavalli, che si era messa in mezzo per difenderlo.

«I partigiani consegnarono questa lista di fascisti a mio babbo tre giorni dopo il funerale di mia nonna», racconta con voce ferma, vagamente inquieta. E poi aggiunge: «Preferisco che i nomi non vengano pubblicati però, non faccia nemmeno la foto, per favore». Chissà perché.

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Pudore, dignità, riservatezza. Come se quell'omicidio fosse stato commesso la settimana scorsa e non in una gelida notte del 1944.

Siamo a Filo, un mucchietto di case in mezzo a una pianura senza panorami che tra il 44 e il 45 divennero il centro di una battaglia che fece migliaia di morti e devastò il territorio. «Gli inglesi si facevano pochi scrupoli quando si trattava di bombardare, i tedeschi resistettero a lungo, tanti partigiani morirono»,racconta Agide, 79 anni, che per anni è stato anche segretario della sezione locale dell'Anpi.«Mario Babini, l’animatore della Resistenza nei territori a cavallo del Reno, lo ammazzarono sotto casa della madre, a pochi chilometri da qui. Altri vennero giustiziati proprio nel centro del paese. La cittadina di Argenta fu rasa al suolo dalle bombe. Per anni, dopo la fine della guerra, decine di persone hanno continuato a morire sopra le mine di cui i nazisti avevano cosparso i campi».

Oggi ogni pochi metri ci sono cippi e lapidi che ricordano quei morti. Agide li conosce tutti. Sa a memoria com'era il paese. «Qui c’era il macellaio, lì l'osteria, lì il mulino - dice. - È un paese che non c'è più, quello dove nacque nonna Agida. Un nome particolare, ma nemmeno tanto qui in Romagna, dove chi non va in chiesa non mette ai figli nomi di santi. La sua era una famiglia di antifascisti come era in genere la gente di queste parti dopo i moti del 1905. Mia nonna, ancora sedicenne, era fra le manifestanti quando nel 1907 ad Argenta ci fu un duro sciopero agrario. E quando la mugnaia, fedelissima del Regime e sua padrona di casa, la invitò ad andare ad acclamare il Duce per l'inaugurazione del nuovo paese di Anita, lei rifiutò: si inventò una scusa e andò a trovare i fratelli sarti a Bologna».

La notte nera è il 28 febbraio 1944. Il fascismo è caduto ma gli alleati sono ancora lontani. Dei tre figli uno, Sereno, è prigioniero in Germania, l’altro, Raffaele, vive con la famiglia in una casa poco lontana. Ma è Guerriero, quello che la preoccupa di più. «Mio padre dormiva in una casetta contigua, assieme a mia madre Elvira e a mia sorella Carla, 9 anni. - Sta attenta, mamma, che uno di questi giorni vengono a prendermi - le aveva detto. Ne era certissimo».

Il Fascio gli sta addosso da quando nel 1930 scrisse «Viva il Primo Maggio» su un muro del paese e per questo al Tribunale Speciale lo condannarono a diciotto mesi di carcere e tre anni di vigilanza speciale. «I nonni chiesero la grazia, ma lui rifiutò. Meglio la galera piuttosto che implorare Mussolini».

Quando quella notte di febbraio bussano alla porta, Agida sa che sono venuti per suo figlio. «Vai a vedere se Guerriero è in casa», dice al marito. Ma al calzolaio Ivo, che con le dita ci lavora, quella notte tremano le mani dal terrore, non riesce a togliere il catenaccio per uscire nel cortile posteriore. Lo fa lei. Non fa in tempo a mettere la testa fuori che due colpi le bucano l'addome. «Forellini piccoli come buchi di sigaretta, ricorderà mia sorella». Per non sbagliare i fascisti usarono i dum-dum, proiettili a espansione che lasciarono la donna, che aveva solo 53 anni, in un lago di sangue.

Guerriero viene caricato su una camionetta e portato via. Pochi minuti dopo è ai piedi di un albero in mezzo a un campo di barbabietole. Insieme a lui c'è Matulli Giovanni detto Gianềl, suo compagno nelle prigioni del Duce 14 anni prima. I fascisti gli ordinano di scavarsi la fossa e loro scavano, sbattono la pala sulla terra congelata dalla neve. Qualche minuto dopo arriva la notizia che l'Agida è in fin di vita. «Tornate a casa e dite che sono stati i socialisti». I due antifascisti sono liberi, vivi.

Il perché lo spiegherà più avanti Renata Viganò, la più grande scrittrice della nostra Resistenza: «Nel febbraio 1944 una donna uccisa dai fascisti non portava bene né ai tedeschi che dovevano star lì in paese chissà quanto, né alla repubblichina di Salò che tentava di rendersi simpatica - scrisse su Noi Donne nel 1952 - Per questo fu salvato Guerriero, dalla sua mamma che andò sola di notte contro i colpi sbagliati anche per coloro che li spararono». Un episodio citato anche da Dario Fo nella sua opera «Vorrei morire anche stasera».

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Agida muore in ospedale il 2 marzo 1944. I filesi continueranno la guerra in suo nome. Chiamano così la sezione locale della Brigata partigiana. E con il suo nome Guerriero battezza il suo secondogenito, Agide, che nasce a novembre, pochi mesi dopo la Liberazione che qui si festeggia il 14 aprile.

Di lei gli raccontano subito tutto. «La guerra era ancora ovunque, non avrebbe avuto senso nascondere qualcosa così importante a un bimbetto che dopo l'aratura autunnale andava a cercare gli avanzi della guerra - ferro, zinco e ottone - per venderli allo strazér e comprarci il gelato».

Quando nel 2008 Agide viene eletto presidente dell'Anpi locale la prima cosa che fa è chiedere di cambiare la targa di piazza A. Cavalli. «La A puntata prima del cognome non bastava. Serviva il nome - Agida - per far capire che si trattava di una donna».

Agide si ferma un attimo, rigira tra le mani la lista degli assassini di sua nonna. «Babbo non li andò mai a cercare, ma il foglietto lo tenne con sé tutta la vita - dice, e adesso gli occhi sono diventati lucidi - Lo trovai il giorno in cui morì, piegato nel portafoglio tra la carta di identità e qualche banconota. Non cercò mai di vendicarsi, semplicemente non voleva dimenticare. Ed è quello che cerco di fare io».

25 aprile 2024 ( modifica il 25 aprile 2024 | 12:49)

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